La grande occasione.
ADC GROUP
I consumatori ora si scelgono il media e ne creano il contenuto. Le loro abitudini stanno cambiando. Nelle agenzie c’è tensione, quasi paura per questo mondo in continua evoluzione. Per i creativi la soluzione attuale è però la più ghiotta degli ultimi anni. Un pubblico intelligente, autonomo, attivo. E allora, carpe diem.
La grande occasione.
Parafrasando (e ribaltando) Woody Allen, direi: ”La tv è morta, i giornali sono morti e io mi sento decisamente meglio”. Per la verità non mi piacciono le frasi apodittiche, le cose non muoiono così di colpo, più che altro si trasformano. Ma, certo, il fenomeno che stiamo vivendo è a dir poco traumatico. Basti vedere il panico nelle agenzie, gli articoli dei vari ceo sul social networking per tranquillizzare i clienti sul fatto che tutto è sotto controllo, che i fenomeni di trasformazione dei media sono gestiti con consapevolezza e che il consumatore mica scappa. Sono sicuro che se qualcuno gli facesse, a bruciapelo, una domanda del tipo “Cos’è un feed?”, molti di essi dopo qualche minuto di silenzio, cadrebbero in un pianto dirotto, maledicendo questa tecnologia, il maledetto web che sta cambiando le tranquille abitudini del pubblico che fino a ieri guardava la tv, leggeva i giornali, ascoltava la radio e ammirava i poster. In realtà la crisi parte da lontano, ma le major globalizzate pensavano a globalizzarsi, appunto. Il fenomeno in corso è che i consumatori si sono progressivamente stancati di avere dei media che propinano loro un palinsesto inguardabile o illeggibile.. Semplicemente, la tecnologia offre loro la possibilità di costruirsene uno proprio. Era già così con lo zapping (preistoria, ormai), figuriamoci con il web, dove i contenuti sono incomparabilmente più ricchi di quelli della tv. Qui, il consumatore non solo si sceglie il media ma, addirittura, crea il contenuto, lo auto-gestisce, lo auto-programma. Per questo nelle agenzie c’è tensione (diciamo pure paura). Come si fa a prendere un consumatore così autonomo? Come si fa a catturarlo? Con uno spot col testimonial? Persino Mark Zuckerberg (il fondatore di Facebook) ha fatto tre passi indietro. Ha tentato di vendere i profili dei suoi utenti col sistema pubblicitario Beacon. Poi, bombardato di proteste, ha chiesto scusa. Un social network non vede di buon occhio i brand e la pubblicità, almeno quella tradizionale. Perché? Intanto perché il social network stesso è un brand. Cosa promette? Un valore, l’unico rimasto ancora non esplorato, non venduto dalla pubblicità. Dopo la famiglia felice, la salute dei bambini, l’eterna giovinezza, la naturalità, l’eros, l’ecologia, la sicurezza sul futuro, il social network promette l’Amicizia. E non un’amicizia così. L’amicizia di massa. Claudia ha 178 amici. Mario ha 235 amici (non scherziamo per favore). Ma, oltre a questo motivo, penso che giustamente gli utenti, essendo essi stessi creatori dei contenuti, si considerino un po’ editori indipendenti e vogliano scegliere se fare bene o no pubblicità, e con chi. Il bello del web è che, darwinianamente, sopravvive solo il necessario. Il web, su questo, è implacabile. Quindi, piuttosto che correre dietro ai funghi tecnologici che spuntano qui e là (tipo il fingo Second Life), le agenzie – le poche rimaste, a parte le aggregazioni finanziarie – dovrebbero guardare con meno preoccupazione a un pubblico che sfugge dai media e che diventa creatore di contenuti. Per i creativi, questa è la più grande occasione, la più grande degli ultimi anni. Un pubblico intelligente, autonomo e meno omologato è l’interlocutore ideale perché attivo mentalmente, capace di apprezzare e rilanciare un’idea creativa. Ma, per conquistarlo, non lo si può prendere in giro. Ci vuole più verità, più semplicità. Anche più pulizia nel messaggio. Insomma, almeno all’inizio di quest’avventura, forse ci saranno meno amici, Ma fidati, però.
Mimmo di Lorenzo, Presidente e Direttore Creativo di The Washing Machine